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Sunday, July 26, 2015

Review: La danza di Nataša: Storia della cultura russa

La danza di Nataša: Storia della cultura russa La danza di Nataša: Storia della cultura russa by Orlando Figes
My rating: 4 of 5 stars

Stravinskij proclamo’:
L’odore della terra russa e’ diverso, e queste sono cose che non si possono dimenticare… (502)

Cosa significava essere russi? Qual era il posto e la missione della Russia nel mondo? E dov’era l’autentica Russia? In Europa o in Asia? San Pietroburgo o Mosca? L’impero zarista o il fangoso villaggio con la sua unica strada dove viveva lo “zio” di Natasa? Erano queste le “domande ossessive” che nell’età d’oro della cultura russa, da Puskin a Pasternak, occupavano la mente di qualsiasi serio scrittore, critico e storico letterario, pittore o compositore, teologo o filosofo. Sono le domande che, nella prospettiva di questo libro, si celano sotto la superficie dell’arte. (xv)

Il mio obbiettivo è di esplorare la cultura russa nello stesso modo in cui Tolstoj e, come l’aria al cui ritmo balla Natasa, la maggior parte delle “canzoni popolari” era giunta dalle città. (xvi)

Quando Pietro dichiarò “qui sorgerà una città”, le sue parole sembrarono echeggiare il comando divino “sia la luce”. E, secondo la leggenda, allorché le pronunciò, un’aquila prese a volteggiare sopra la testa dello zar andando poi a posarsi sul culmine di un arco formato da due betulle allacciate. (4)

San Pietroburgo era più di una città. Era un grande progetto, in certo modo utopistico, di ingegneria culturale per rimodellare il russo come uomo europeo. Dostoevskij nelle Memorie del sottosuolo, la definì “la più astratta e artificiosa città di tutto il globo terrestre”. Ogni aspetto della cultura petrina era designato a negare la Moscovia “medievale” (XXVII secolo). Nell’intenzione dell’imperatore, diventare cittadino di Pietroburgo voleva dire lasciarsi alle spalle gli “oscuri” e “arretrati” costumi del passato russo per entrare, come russo europeo, nel moderno mondo occidentale del progresso e dei Lumi. (9)

Ma questo senso di far parte dell’Europa produceva anche anime divise. “Noi russi abbiamo due patrie: la Russia e l’Europa”, scriveva Dostoevskij. (48)

Nei panorami settecenteschi di San Pietroburgo il cielo aperto e lo spazio connettono la città con un più ampio universo. Linee dritte tendono verso orizzonti lontani, oltre cui, siamo sollecitati a immaginare, giace a portata di mano il resto dell’Europa. La proiezione della Russia sull’Europa era sempre stata la raison d’etre di San Pietroburgo. Essa non era soltanto la “finestra sull’Europa” di Pietro - come disse una volta Puskin della capitale - ma un passaggio aperto attraverso cui l’Europa entrava in Russia e i russi facevano il loro ingresso nel mondo. (54)

“Per conoscere il nostro popolo, - scriveva il poeta Aleksandr Bestuzev, - bisogna vivere con lui e parlare con lui nel suo linguaggio, si deve mangiare con lui e celebrare con lui i giorni di festa, cacciare nei boschi l’orso insieme con lui, o recarsi al mercato su un carro contadino”. La poesia di Puskin fu la prima a ottemperare a questa esigenza. Parlare al più ampio ventaglio di lettori, tanto al contadino alfabetizzato come al principe, nell’idioma russo comune. Creare una lingua nazionale con la sua poesia fu la suprema realizzazione di Puskin. (71)

Come ben sanno i lettori di Guerra e pace, la guerra del 1812 rappresentò uno spartiacque nella cultura dell’aristocrazia russa. Fu una guerra di liberazione nazionale dallo scettro intellettuale della Francia: un momento in cui nobili come I Rostov e i Bolkonskij cercarono di liberarsi dalle abitudini straniere della loro società e iniziarono una nuova vita fondata su principi russi. (88)

Aksakov sosteneva che il “tipo russo” era incarnato nel leggendario eroe popolare Il’ja Muromec che compare in narrazioni epiche come protettore della terra russa contro invasori e infedeli, briganti e mostri, con la sua “forza gentile e la sua mancanza di aggressività, ma anche con la sua prontezza a combattere per la causa del popolo in una giusta guerra difensiva”. (117)

Con le sue casette in legno e le stradine tortuose, con i suoi palazzi dotati di stalle e di cortili chiusi dove pascolavano liberamente mucche e pecore, Mosca possedeva una peculiare atmosfera campagnola. Era chiamata “il grande villaggio”, un soprannome che ha mantenuto fino ad oggi. (132)

Nelle parole di Pasternak:

Tutto si coprira’ di nebbia favolosa,
similmente ai rabeschi sui muri
della camera indorata dei boiari
e alla chiesa del Beato Vasilij.

Al sognatore e al nottambulo
Mosca e’ piu’ cara d’ogni cosa al mondo.
Egli si trova a casa, alla sorgente
di tutto cio’ di cui fiorira’ il secolo. (190)

Perche’, come illustrano i famosi versi del poeta Nekrasov:

La Russia e’ racchiusa nel profondo della sua campagna
la’ dove regna un eterno silenzio. (193)

Optina Pustyn’, l’ultimo grande ricetto della tradizione eremitica che riconnetteva la Russia a Bisanzio, andra’ delineandosi come il centro spirituale della coscienza nazionale. Tutti i piu’ grandi scrittori dell’Ottocento - Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj tra gli altri - vi si recheranno nella loro ricerca dell’”anima russa”. (251)

Cio’ che il russo non puo’ comprendere restera’ per sempre sconosciuto agli uomini. (270)

Nella sua lettera a Gogol’, Belinskij aveva riconosciuto che il contadino russo si caratterizzava per il timore e la devota reverenza verso Dio. “Ma mentre pronuncia il nome di Dio, si gratta la schiena. E dell’icona dice: “Va bene per pregare, ma anche per coprirci le pignatte”. (274)

Nelle Mie universita’ (1922), Gor’kij descrive un contadino da lui incontrato in un villaggio vicino Kazan’, il quale
… immaginava (Dio) come un vecchio grande e nobile, come un padrone buono e intelligente, che non poteva vincere il male solo perche’: “Non fa in tempo, ci sono troppi uomini oggi. Ma non importa, ci riuscira’ vedrai! … Per quanto ne so, Dio non e’ morto… (275)

Si tratto’, sembra, del tentativo consapevole da parte della Chiesa russa di appropriarsi del culto pagano di Rozanica, dea della fertilita’, e dell’antico culto slavo dell’umida Madre terra, ovvero della dea conosciuta come Mokos, da cui derivo’ il mito della “madre Russia”. Nella sua forma contadina piu’ arcaica, la religione russa era una religione della terra. (276)

Nella mentalita’ russa, la frontiera religiosa e’ stata sempre piu’ importante di qualsiasi confine etnico, e i piu’ antichi termini per “straniero” (ad esempio, inoverec) veicolano la connotazione di una fede diversa. E’ ugualmente significativo che la parola russa per “contadino” (“krest’janin”), che in pressoche’ tutte le altre lingue europee si radica nella nozione di paese o di terra, sia connessa invece alla parola per “cristiano” (“christianin”). (322)

Marciando verso il cuore dell’Asia, i russi tornavano al loro antico focolare. …
Ispirato dal soggiogamento dell’Asia centrale, anche Dostoevskij arrivo’ a pensare che il destino della Russia non fosse in Europa, come aveva a lungo reputato, ma in Oriente. (355)

Tarkovskij ha rivissuto questo mito nazionale in antitesi al sistema di valori del regime sovietico, con le sue idee aliene di razionalismo materialistico. “L’odierna cultura di massa…, - scrive Tarkovskij, - mutila le anime, sbarrando all’uomo la strada che conduce ai problemi radicali della sua esistenza, alla presa di coscienza di se stesso come essere spirituale”. Tale coscienza spirituale, egli pensava, era il contributo della Russia poteva offrire all’Occidente. Un’idea, questa, simboleggiata nell’ultima immagine iconica di Nostalghia (1983): una casa contadina russa inserita tra le rovine di una cattedrale italiana. (445)

Nel 1933 Bunin ottenne il Nobel. Fu il primo scrittore russo a ricevere questo premio che, arrivato mentre Stalin stava mettendo in catene la cultura sovietica, fu percepito dagli emigrati come il riconoscimento che la Vera Russia (sul piano della cultura) si trovava all’estero. (462)

La musica di Rachmaninov esprime lo spirito di questo paesaggio. “I russi sentono con il suolo un legame piu’ forte di qualsiasi altro popolo, - spiego’ a una rivista americana (pensando, evidentemente, soprattutto a se stesso). - Esso deriva da una tendenza istintiva alla quiete, alla tranquillita’, all’ammirazione della natura, e forse da una ricerca di solitudine. Mi sembra che tutti i russi siano un po’ eremiti”. (465)


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