Cacao by Jorge Amado
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Il portastendardo sembrava posseduto da uno spirito. Ballava ritmi africani che portava in eredita’ nel sangue. Si abbassava fino a terra con la bandiera e di colpo saltava sulla punta dei piedi senza quasi toccare terra. Non vedeva nessuno, tutto preso dalla danza. Il Congo, i deserti, le notti piene di ruggiti, Orixa’-la’, quante cose in quella danza… (42)
A sud di Bahia, cacao e’ l’unico nome che suona bene. (53)
Quando arrivava mezzogiorno (il sole fungeva da orologio), smettevano di lavorare e ci riunivamo agli altri per mangire. Un pezzo di carne essiccata, fagioli che cuocevano dal mattino, la bottiglia di acquavite passata di mano in mano.
Si schioccava la lingua e si sputava uno sputo denso. Restavamo a chiacchierare senza badare ai serpenti che passavano, producendo strani rumori sulle foglie secche che tappezzavano il suolo. (54)
Dio diede in eredita’ a Caino e Abele una piantagione di cacao da dividersi. (54)
L’oscurita’ avvolgeva tutto. Piangevano le chitarre, gli uccelli cinguettavano. I frutti d’oro del cacao e i serpenti. Le stelle brillavano in cielo. Le lanterne per strada sembravano anime in pena levate in volo. La notte in fazenda e’ triste, cupa, dolorosa. E’ di notte che la gente pensa… (62)
I bambini non pensavano. Lavoravano, mangiavano e dormivano. Uno scrittore una volta ha detto:
Quelli si’ che sono felici. Non pensano...
Cosi’ sara’ parso a lui. (68)
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