Storie dall'Altipiano by Mario Rigoni Stern
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STORIA DI TONLE (*****)
Il realismo integrale di Mario Rigoni Stern non conosce la distinzione fra interiorita' ed esteriorita' perche' il visibile a tutti esiste, senza inganni e falsificazioni, quindi non va truccato. (Eraldo Affinati, xxv)
La canzone si sgranava dolcemente e sommessamente, mentre i mulinelli e gli aspi ronzavano come api e muovevano l'aria calda della stalla come fosse primavera. (27)
"I giornali dicono" gli rispose Stefano "che bisogna liberare Trento e Trieste e i nostri fratelli che sono al di la' della frontiera."
Tonle guardo' oltre la linea dei monti che segnavano il confine e le sue pecore che pascolavano tranquille, poi crollo' il capo e rispose solo: "Mah". (48)
Tutta la casa era diventata silenziosa e i ragazzi tacevano e la nuora si muoveva in cucina senza alcun rumore, tanto che si distingueva fino in camera il sussurrare del fuoco sul focolare. Tonle continuava a guardare quel viso e le mani ora posate sulla coperta e si rendeva conto del tempo e della vita che era corsa via... (50)
L'ANNO DELLA VITTORIA (****)
Matteo e suo padre guardavano con il cuore stretto, senza parlare: quelle per loro non erano solamente macerie ma la fine di un mondo, di un paese e di un costume che erano iniziati quando i nostri antenati scelsero per vivere questa terra che nessuno voleva perche' isolata, scomoda da raggiungere e selvaggia, ossia coperta da folti selve. Forse queste cose i due non le sapevano per istruzione ma le sentivano d'istinto perche' erano parte di queste macerie di case, di questi boschi senza piu' alberi vivi, di questi pascoli senza erba. (148)
E non dimenticheremo mai come voi non dimenticherete i giorni qui passati insieme, perche' il saldo vincolo di fratellanza che ci unisce, fu riconsacrato nei giorni piu' oscuri della sventura e nei giorni piu' radiosi della vittoria. (154)
"Senta, io ho fatto tutta la guerra in prima linea seza carte bollate e certificati. Non potrei avere per intanto, s'intende pagando, qualche quintale di cemento, calce e vetri? Al resto si penserebbe noi". (167)
In quel pomeriggio il nonno dalla finestra della cicuna osservava il tramonto del sole; chiamo' a se' la piccola Nina e la prese in braccio: "Osserva il sole, non tramonta piu' aldila' di quella punta di montagna, ma aldiqua'. Andiamo verso la primavera". (244)
LE STAGIONI DI GIACOMO (***)
Sono entrato dopo aver bussato e chiesto permesso. Il silenzio e la penombra erano carichi di ricordi che sembravano chiedere la parola. (251)
Giacomo ando' verso la scala dove aveva appesa la sacchetta di scuola. Prese il libro e ritorno' accanto al fuoco. L'aperse sotto il lume e incomincio' a leggere, ... "Il nostro popolo aveva compreso che era giunta l'ora di strappare al giogo austriaco le terre irredente e con vibrante entusiasmo aveva chiesto che si dichiarasse guerra all'Austria..." (287)
Non e' mica la strada dell'orto andare in Australia! (296)
Ist pezzort lazzen de bolla, bedar de oba. (390)
QUOTA ALBANIA ( )
IL SERGENTE NELLA NEVE ( )
ANDAVO SOLO, CON I RICORDI CHE PREMEVANO SUL CUORE, PONENDOMI MOLTI PERCHE’. MI ACCOMPAGNAVANO GLI SPIRITI DEGLI AMICI CHE NON SONO RITORNATI A BAITA. “PERCHE’ MI AVETE LASCIATO SOLO?” CHIEDEVO. MA LORO ERANO BENEVOLI, SORRIDEVANO: “NOI SIAMO SEMPRE CON TE. NON DEVI AVERE RIMORSI PER ESSERE ANCORA VIVO. RACCONTA, FAI SAPERE”. (Storie dall’Altipiano, p. 1634)
DIURNISTA DI TERZA CATEGORIA (****)
Per scrivere ai Superiori Uffici avevamo una vecchia Invicta che faceva il rumore di una mitragliatrice. (1096)
STORIE NATURALI (****)
Andò per dormire sotto la coltre di piume, il cane accucciato in capo al letto; ma non gli riusciva di prendere sonno perché i ricordi e i discorsi e il vino lo avevano immerso in un mondo unico: sentiva il silenzio e il tempo che fluivano tra le montagne e le stelle, i muggiti di una vacca che stava partorendo, un cane abbaiare lontano, il torrente tra i sassi, giù, nella forra sotto la locanda. (1131)
Prima di mezzogiorno tornava alla locanda e un buon odore di polenta e di minestrone gli faceva da sentiero. (1133)
Quasi sempre, durante la sua vacanza, veniva la pioggia; una pioggia sottile e continua che del cielo, del paese, del bosco, di lui, di tutto insomma, faceva una unica malinconica cosa. La sentiva arrivare nella notte, battere sui tetti d’ardesia, gorgogliare nelle grondaie di legno: allora si lasciava invadere da una sottile dolcezza che lo discioglieva. Gli sembrava di essere anche lui terra di bosco, humus che la pioggia fecondava. (1134)
Quando le nuvole salgono lungo le valli lasciando brandelli sui rami scuri degli abeti e su quelli dorati dei larici, e poi ancora salgono per le coste nude dei monti più alti e si aggrappano alle rocce, e quando le betulle hanno riversato sulla terra il miele delle foglie e le beccacce riprendono il volo dopo la sosta ottobrina, allora, sul fare del giorno si può sentire il canto autunnale del fagiano di monte. Anche lui è restato con pochi altri a farci compagnia dopo che i turisti, i cercatori di funghi, i boy-scout, i motocrossisti se ne sono andati ed è ritornato l’antico silenzio. (1146)
“Sette volte bosco
Sette volte prato
Poi tutto tornerà
Com’era stato”.
Cantano gli gnomi dentro la montagna dove scavano i diamanti. (1188)
Anticamente, per chi profanava un bosco sacro in certi casi c’era la pena di morte perché dagli alberi erano nati gli dei e gli uomini… (1194)
Presso i greci il pino silvestre era il simbolo della verginità e per questo dedicato a Diana; ma anche a Pan in memoria di una fanciulla da lui amata e insidiata che Borea spinse sulle montagne e fece precipitare da una roccia. La Terra pietosa la trasformò in pino e quando Pan sentiva il soffio di Borea non cessava mai di piangere. Le gocce di ragia che il pino geme sono le lacrime della fanciulla amata. (1208-9)
Questa usanza di piantare alberi sulle tombe si manifestava nei popoli antichi perché sapevano che il corpo disciolto e decomposto in umori veniva assorbito dalle radici e che la materia si sarebbe vivificata negli alberi continuando così, per anni e per secoli, a testimoniare l’affetto e la memoria ai posteri. (1273)
STORIE DALL’EST
Di soppiatto avevo messo sulla tomba di Esenin un mazzetto di mughetti che per un rublo avevo comperato da una vecchia alla porta del cimitero: era questa la mia riconoscenza per un poeta che al ritorno dalla guerra mi aveva aiutato a vivere. Ora seguivo attentamente i suoi versi recitati in russo e ne afferravo il senso e la musica. Capivo che stavano declamando Confessioni di un malandrino e le parole cadevano sugli alberi del cimitero come pioggia di primavera: “Sono malato d’infanzia e di ricordi / e di freschi crepuscoli d’aprile…”. (1352)
STORIE DALL’ALTIPIANO
D’inverno, ogni domenica sera, era qui che si riunivano le donne e i ragazzi del parentado per giocare a tombola, e la prozia faceva per tutti il dolce vino brule’ con la cannella. Il mio angolo serale, pero’, era il focolare della cucina: era qui che mi asciugavo i vestiti e le scarpe dopo aver passato il pomeriggio a giocare nella neve. Mi divertivo a battere sui tizzoni per vedere le faville salire a gruppi, fitti fitti su per il camino, o a cuocere le patate sotto la cenere, o ad ascoltare le storie che mi raccontavano i famigli. (1430)
Oggi, dopo anni di lavoro, una casa me la sono disegnata e costruita; ed e’ semplice come un’arnia per api: comoda e tiepida; silenziosa ai rumori molesti che sono lontani e vicina ai rumori della natura; con finestre che guardano lontano, le cataste di legna sulle mura al sole e, oggi, con la neve sul tetto, sulle betulle e sugli abeti del brolo, sulle arnie, sul canile. E dentro nel tepore mia moglie, i miei libri, i miei quadri, il mio vino, i miei ricordi… (1432)
Oggi piove sul tetto e sugli alberi, sui pascoli, e sopra i 1300 metri il bosco si imbianca; eppure, aprendo la finestra della mia stanza per ascoltare la voce della pioggia, mi e’ giunto dal bosco il canto di un tordo. E’ bella la sua voce, melodiosa e flautata, forse la piu’ bella da ascoltare con la prima luce del giorno e l’ultima della sera. Bentornato Turdus philomelos, parente dell’usignolo, che dai tanta dolce malinconia al bosco primaverile. (1593)
Come me, hanno tollerato la vista
Di Medusa, che non li ha impietriti.
Non si sono lasciati impietrire
Dalla lenta nevicata dei giorni.
(1630, poesia di Primo Levi)
Verra’, verra’ il caro scricciolo sulla catasta di legna ad annunciarmi la prima neve come quando ero ragazzo con il suo tictictic ripetuto piu’ volta, e il suo campanellino nascosto nella gola si sentira’ anche lassu’ dove le nuvole compatte e bianche aspettano il segnale. (1663)
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