Terre del finimondo by Jorge Amado
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Il vento soffio’ con rinnovato impeto, recando al crepuscolo di Bahia qualche frammento delle conversazioni di bordo, le parole pronunziate a voce piu’ alta: terre, danaro, cacao e morte. (14)
I gufi lanciavano il loro grido alla luna nelle notti tranquille, quel grido che non era ancora presagio di sventura poiche’ gli uomini non erano giunti ancora fin la’. (49)
Prese Virgilio sottobraccio, lo condusse sulla veranda. L’alba che si avvicinava avvolgeva la Terra in una luce ancora opaca e triste. Horacio punto’ l’indice lontano, verso un orizzonte che a malapena s’intravvedeva. (149)
La selva, capitolo 11. (149-159)
(Virginia Woolf?)
Margot tese la mano, additando il tratto di strada visibile dalla finestra aperta; e avrebbe voluto indicare l’intero villaggio di Tabocas:
“Questo e’ l’ultimo paese del mondo” disse. (199)
“Juca Badaro’ ha gia’ contrattato un agrimensore per fare la misurazione delle foreste del Torrente Grande… “
“Ma no! Chi te lo ha detto? ”
Tonico fece un gesto pieno di mistero.
“L’uccellin bel verde, dottore” rispose. “Che cosa non si sa a Tabocas? Quando non c’e’ di che parlare, qui, si inventa… “ (210)
L’albero che dominava Ilheus era quello del cacao, anche se non se ne vedeva uno solo in tutta la citta’. L’albero del cacao bisognava cercarlo dietro tutta l’esistenza di San Giorgio dos Ilheus, dietro ogni affare che vi si concludeva, dietro ogni casa che vi si costruiva, dietro ogni magazzino, ogni negozio, ogni pena d’amore, ogni colpo di fucile o di rivoltella. Non c’era conversazione il cui nocciolo non fosse il cacao. E sulla citta’ aleggiava, esalato dai magazzini di deposito, dai vagoni ferroviari, dalle stive delle navi, carri e dalla gente, l’odore di cioccolata, che e’ l’odore del cacao secco. (271-2)
Il vischio del cacao era attaccato alle piante dei loro piedi ed essi ritornavano a sotterrare il loro denaro in un tratto di terra per piantarvi alberi di cacao… Alcuni riuscivano a partire, s’imbarcavano, fendevano le onde del mare e dovunque giungessero non parlavano che delle terre di Ilheus. E - certo come che egli si chiamava Sinho Badaro’, - trascorsi sei mesi o un anno, sarebbero ritornati, senza un soldo, per ricominciare a piantar cacao. Si diceva che cio’ fosse dovuto al vischio del cacao molle, che, quando si attacca ai piedi di qualcuno, non si stacca piu’. Questo dicevano le canzoni nelle serate alle fazendas… (310)
Ma tutti, lavoratori, jaguncos, colonnelli, avvocati, medici, commercianti ed esportatori, avevano il vischio del cacao attaccato all’anima, nel profondo del cuore… Non c’era educazione, cultura o sentimento che potesse toglierlo. Il cacao era denaro e potere, era l’intera vita, aveva messo radici, non solo nella terra scura dalla potente linfa, ma anche dentro di loro. (342)
Virgilio ringrazia:
“Lei e’ una brava persona. Maneca Dantas… E’ strano come voialtri qui possiate commettere tante scelleraggini e cio’ nonostante essere brave persone… “ (408)
“Nelle piantagioni di cacao di queste terre, figlio mio” disse, “ci nasce perfino dei vescovi. Ci nasce la ferrovia, gli assassini, i “garbugli”, i villini, i ritrovi notturni, le scuole, il teatro e ci nasce perfino dei vescovi… Finche’ seguitera’ a produrre cacao, questa terra produrra’ di tutto… “ (413)
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