Tutte le opere, Vol. 1 by Jorge Luis Borges
My rating: 5 of 5 stars
Borges: dall’impronta di un dinosauro al volo di una libellula tra i fogli svolazzanti di un libro. La luce dei suoi occhi ci apre alle lontane congetture dei sogni che sognano.
Il tempo, trasformandosi in parole, rallenta il suo perenno corso.
Introduzione
"Freud" disse (Borges) in una delle conversazioni con Richard Burgin "non mi e' mai piaciuto. Ma sono sempre stato un appassionato lettore di Jung. Leggo Jung nello stesso modo in cui potrei leggere, diciamo Plinio o Il ramo d'oro di Frazer, lo leggo come una specie di mitologia, come una specie di museo o enciclopedia di strane leggende". (XLIX)
"Ho letto molto di teologia protestante, di buddismo e di Spinoza. Ma non sono religioso, ne' buddista, ne'spinoziano. Ho utilizzato Berkeley e Schopenhauer per le loro possibilita' letterarie, non perche' credessi alle loro dottrine. I miei racconti non sono favole per convincere qualcuno". (LXXXV)
"Comincia qui la mia disperazione di scrittore. Ogni linguaggio e' un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gli interlocutori condividono; come trasmettere agli altri l'infinito Aleph, che la mia timorosa memoria a stento abbraccia?". (XC)
FERVORE DI BUENOS AIRES
Fine d'anno (39)
Ne' la minuzia simbolica
di sostituire un tre con un due
ne' quella metafore inutile
che convoca un attimo che muore e un altro che sorge
ne' il compimento di un processo astronomico
sconcertano e scavano
l'altopiano di questa notte
e ci obbligano ad attendere
i dodici irreparabili rintocchi.
La causa vera
e' il sospetto generael e confuso
dell'enigma del Tempo;
e' lo stupore davanti al miracolo
che malgrado gli infiniti azzardi,
che malgrado siamo
le gocce del fiume di Eraclito,
perduti qualcosa in noi:
immobile.
Alba (55)
Nella profonda notte universale
che appena contraddicono i fanali
una raffica perduta
ha offeso le strade taciturne
come presentimento tremulo
dell'alba orribile che fa la ronda
ai sobborghi smantellati del mondo.
Curioso dell'ombra
e impaurito dalla minaccia dell'alba
rivissi la tremenda congettura
di Schopenhauer e di Berkeley
che dichiara che il mondo
e' una attivit' della mente,
un sogno delle anime,
senza base ne' proposito ne' volume.
E gia' che le idee
non sono eterne come il marmo
ma immortali come un bosco o un fiume,
la dottrina citata
assunse un'altra forma nell'alba
e la superstizione di quell'ora
quando la luce come un rampicante
va a implicare le pareti dell'ombra,
piego' la mia ragione
e traccio' il capriccio seguente:
Se sono prive di sostanza le cose
e se questa numerosa Buenos Aires
non e' altro che un sogno
che ergono in condivisa magia le anime,
c'e' un istante
in cui pericola tumultuosamente il suo essere
ed e' l'istante rabbrividito dell'alba,
quando sono pochi coloro che sognano il mondo
e soltanto alcuni nottambuli conservano,
cenerina e appena abbozzata,
l'immagine delle strade
che completeranno poi con gli altri.
Ora in cui il sogno pertinace della vita
corre pericolo di rottura,
ora in cui sarebbe facile a Dio
uccidere del tutto la Sua opera!
Ma di nuovo il mondo si e' salvato.
La luce deambula inventando sporchi colori
e con qualche rimorso
della mia complicita' nel risorgere del giorno
sollecito la mia casa,
attonita e glaciale nella luce bianca,
mentre un uccello trattiene il silenzio
e la notte consumata
e' rimasta negli occhi dei ciechi.
Versi che potei aver scritto e perduto verso il 1922 (87)
Silenziose battaglie del tramonto
in sobborghi ultimi,
sempre antiche sconfitte di una guerra nel cielo,
albe ruinose che ci vengono
dal profondo deserto dello spazio
come dal profondo del tempo,
neri giardini della pioggia, una sfinge di un libro
che avevo paura di aprire
e la cui immagine torna nei sogni,
la corruzione e l'eco che saremo,
la luna sopra il marmo,
alberi che si alzano e durano
come divinita' tranquille,
la mutua notte e la sperata sera,
Walt Whitman, il cui nome e' l'universo,
la spada valorosa di un re
nel silenzioso letto di un fiume,
i sassoni, gli arabi e gli spagnoli
che, senza saperlo, mi generarono,
sono io tali cose e le altre
o sono chiavi segrete e ardue algebre
di cio' che non sapremo mai?
LUNA DI FRONTE
Quasi giudizio finale (125)
Il mio girovago far niente vive e si scatena nella varieta' della notte.
La notte e' una festa lunga e sola.
Nel mio segreto cuore io mi giustifico ed esalto:
Ho testimoniato il mondo; ho confessato la rarita' del mondo.
Ho cantato l'eterno: la chiara luna ritornante e le guance che invogliano l'amore.
Ho commemorato con versi la citta' che mi cinge e i sobborghi che si straziano.
Ho detto stupore dove altri dicono soltanto abitudine.
Davanti alla canzone dei deboli, accesi la mia voce di tramonti.
Gli antenati del mio sangue e gli antenati dei miei sogni ho esaltato e cantato.
Sono stato e sono.
Ho legato con salde parole il mio sentimento che pote' esssersi dissipato in tenerezza.
Il ricordo di una antica vilta' ritorna al mio cuore.
Stanno ancora accanto a me, comunque, le strade e la luna.
L'acqua continua ad essere dolce nella mia bocca e le strofe non mi negano la loro grazia.
Sento lo sgomento della bellezza: chi osera' condannarmi se questa grande luna della mia solitudine mi perdona?
QUADERNO SAN MARTIN
...
EVARISTO CARRIEGO (***)
Il termine las orillas si adatta con straordinaria precisione a quei confini desolati dove la terra fa suo l’aspetto indefinito del mare e pare degna di commentare l’immagine che ci propone Shakespeare: “la terra ha il suo gorgogliare, come l’hanno le acque”. (195)
Ieri sera, finita ormai la cena
e mentre assaporavo il caffé amaro,
mi posi a meditare lungamente:
lo spirito sereno come mai.
Ben lo so che la coppa non è piena
di quel che c’è di meglio, e tuttavia,
per pigrizia, può darsi, non so fare
rimprovero al destino, che non è stato buono…
Ma quasi in virtù di una rara qualità
non mostro alla vita un volto amaro
neppure nelle ore più penose,
nessuno mai avrà il diritto
di esigere da me una smorfia. Tante cose
si possono occultare in fondo al petto! (238)
E’ dal contadino che deriva la parola cultura; dalle città la parola civilizzazione, ma il cavaliere è un impeto che si perde. (258)
DISCUSSIONE (****)
Poscritto. In questa pagina di semplice notizia posso anche comunicare quella di un sogno. Sognai che uscivo da un altro sogno - popolato di cataclismi e di tumulti - e che mi svegliavo in una stanza irriconoscibile. Albeggiava: una immobile luce globale definiva l’estremità del letto di ferro, la sedia esatta, la porta e la finestra chiuse, il tavolo nudo. Pensai con paura “dove sono?” e non potei riconoscermi. La paura crebbe in me. Pensai: questa veglia sconsolata è già l’Inferno, questa veglia senza destino sarà la mia eternità. Allora mi svegliai per davvero: tremando. (370-1)
Io ho compilato una volta un’antologia della letteratura fantastica. Ammetto che quell’opera è fra le pochissime che un secondo Noè dovrebbe salvare da un secondo diluvio, ma denuncio la colpevole omissione degli insospettati e massimi maestri di quel genere. Parmenide, Spinoza, Leibniz, Kant, Francis Bradley. Infatti che cosa sono i prodigi di Wells o di Edgar Allan Poe - un fiore che ci arriva dal futuro, un morto sottoposto all’ipnosi - in confronto all’invenzione di Dio, alla teoria laboriosa di un essere che in qualche modo è tre e che solitariamente perdura fuori del tempo? Che cos’è la pietra bezoar di fronte all’armonia prestabilita, chi è l’unicorno di fronte alla Trinità, chi è Lucio Apuleio di fronte ai moltiplicatori di Buddha del Grande Veicolo, che sono tutte le notti di Sherazade accanto a un argomento di Berkeley? Ho venerato la graduale invenzione di Dio; anche l’Inferno e il Cielo (una remunerazione immortale, un castigo immortale) sono ammirevoli e curiose concezioni dell’immaginazione degli uomini. (429-30)
STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA (***)
Il suo amico Garrett, lo sceriffo che poi lo avrebbe ucciso, gli disse un giorno: “Mi sono esercitato molto nella mira uccidendo bufali”. “Io ancor di più uccidendo uomini” rispose Billy the Kid, soavemente. (479-80)
STORIA DELL’ETERNITA’ (****)
Come mai non ho intuito che l’eternità, anelata con amore da tanti poeti, è uno splendido artificio che ci libera, seppure fugacemente, dall’intollerabile oppressione del successivo? (521)
L’universo richiede l’eternità. I teologi non ignorano che se l’attenzione del Signore si distraesse un solo secondo da questa mia mano destra che scrive, essa ricadrebbe nel nulla, come fulminata da un fuoco senza luce. Perciò affermano che la conservazione di questo mondo è una perpetua creazione e che i verbi conservare e creare, così nemici qui, sono sinonimi nel Cielo. (538)
Traggo anticipatamente questa conclusione: la vita è troppo povera per non essere anche immortale. Ma non abbiamo nemmeno la sicurezza della nostra povertà, poichè il tempo, facilmente confutabile nell’ambito dei sensi, non è tuttavia confutabile in quello intellettuale, dalla cui essenza sembra inseparabile il concetto di successione. (543-4)
le kenningar
l’aria
casa degli uccelli
casa dei venti
le aringhe
frecce del mare
la balena
maiale delle onde
la panca
albero da sedere
la barba
bosco della mascella
la battaglia
assemblea di spade
tempesta di spade
incontro delle sorgenti
volo di lance
canzone di lance
festa di aquile
pioggia degli scudi rossi
festa dei vichinghi
il braccio
forze dell’arco
gamba della scapola
l’avvoltoio
cigno insanguinato
gallo dei morti
il cavallo
agitatore del freno
la testa
sostegno dell’elmo
macigno delle spalle
castello del corpo
la birra
onda del corno
marea della coppa
il cielo
elmo dell’aria
terra delle stelle del cielo
cammino della luna
tazza dei venti
il cuore
mela del petto
dura ghianda del pensiero
il corvo
gabbiano dell’odio
gabbiano delle ferite
cavallo della strega
cugino del corvo
i denti
rupi delle parole
lo scudo
terra della spada
luna della nave
luna dei pirati
tetto della battaglia
nuvolone della battaglia
la spada
ghiaccio della lite
verga dell’ira
fuoco di elmi
drago della spada
roditore di elmi
spina della battaglia
pesce della battaglia
remo del sangue
lupo delle ferite
ramo delle ferite
le frecce
grandine delle corde degli archi
oche della battaglia
il fuoco
sole delle case
rovina degli alberi
lupo dei templi
il guerriero
delizia dei corvi
arrossatore del becco del corvo
rallegratore dell’aquila
albero dell’elmo
albero della spada
tintore di spade
l’ascia
orchessa dell’elmo
caro nutritore dei lupi
la fuliggine
nera rugiada del focolare
la forca
albero dei lupi
cavallo di legno
le lacrime
rugiada della pena
la lancia
drago dei cadaveri
serpente dello scudo
la lingua
spada della bocca
remo della bocca
la mano
sedia del nibbio
paese degli anelli d’oro
il mare
tetto della balena
terra del cigno
cammino delle vele
campo del vichingo
prato del gabbiano
catena delle isole
il morto
albero dei corvi
avena delle aquile
frumento dei lupi
la nave
lupo delle maree
cavallo del pirata
renna del re del mare
pattino del vichingo
cavallo dell’onda
carro che ara il mare
falco della spiaggia
gli occhi
pietre del viso
lune della fronte
l’oro
fuoco del mare
letto del serpente
bagliore della mano
bronzo delle discordie
la pace
riposo delle lance
il petto
casa dell’alito
nave del cuore
base dell’anima
sede delle risate
l’argento
neve della borsa
ghiaccio dei crogiuoli
rugiada della bilancia
il re
signore degli anelli
distributore di tesori
distributore di spade
il fiume
sangue delle rupi
terra delle reti
il sangue
ruscello dei lupi
marea della strage
rugiada del morto
sudore della guerra
birra dei corvi
acqua della spada
onda della spada
il sole
sorella della luna
fuoco dell’aria
la terra
mare degli animali
pavimento delle tempeste
cavallo della nebbia
il toro
signore delle palizzate
l’estate
crescita degli uomini
animazione delle vipere
il vento
fratello del fuoco
danno dei boschi
lupo dei cordami
(550-5)
Nietzsche voleva uomini capaci di tollerare l’immortalità. … “Se ti immagini una lunga pace prima di rinascere, ti giuro che sbagli. Tra l’ultimo istante della coscienza e il primo risplendore di una vita nuova c’è ‘nessun tempo’ - l’intervallo dura quanto un fulmine, anche se non bastano a misurarlo bilioni di anni. Dove manca un io, l’infinito può equivalere alla successione”. (574)
Ripete Marco Aurelio: “Chi ha visto il presente ha visto tutte le cose: quelle che furono nell’insondabile passato, quelle che saranno nel futuro”. (583)
FINZIONI (*****)
Debbo la scoperta di Uqbar alla congiunzione di uno specchio e di una enciclopedia. (623)
Ogni stato mentale è irreducibile: il solo fatto di nominarlo - id est, di classificarlo - comporta una falsificazione. (631)
Oggi, una delle chiese di Tlon sostiene platonicamente che certe cose come un determinato dolore, una determinata sfumatura verdastra del giallo, una determinata temperatura, un determinato suono, costituiscono l’unica realtà. Tutti gli uomini, nel vertiginoso istante del coito, sono lo stesso uomo. Tutti gli uomini che ripetono un verso di Shakespeare sono William Shakespeare. (nota 633)
La storia, madre della verità; l’idea è meravigliosa. Menard, contemporaneo di William James, non vede nella storia l’indagine della realtà, ma la sua origine. La verità storica, per lui, non è ciò che avvenne, ma ciò che noi giudichiamo che avvenne. (657)
… l’impegno di modellare la materia incoerente e vertiginosa di cui si compongono i sogni è il più arduo che possa assumere un uomo, anche se penetri tutti gli enigmi dell’ordine superiore e dell’inferiore: molto più arduo che tessere una corda di sabbia o monetare il vento senza volto. (661)
Temette che suo figlio meditasse su questo strano privilegio e scoprisse in qualche modo la sua condizione di mero simulacro. Non essere un uomo, essere la proiezione del sogno di un altr’uomo: che umiliazione incomparabile, che vertigine! (664)
… nacque la proposta seguente: “Se la lotteria è una intensificazione del caso, una periodica infusione del caos nel cosmo, non converrebbe fare intervenire il caso in tutte le fasi del gioco, e non in una sola? Non è ridicolo che il caso detti la morte di qualcuno e che le circostanze di questa morte - pubblica o segreta, immediata o ritardata d’un secolo - non siano anch’esse soggette al caso?”. (670)
(So d’una regione barbarica i cui bibliotecari ri pudiano la superstizione e vana abitudine di cercare un senso nei libri, e la paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee caotiche della mano… (682)
Questi esempi permisero a un bibliotecario di genio di scoprire la legge fondamentale della Biblioteca. Questo pensatore osservò che tutti i libri, per diversi che fossero, constavano di elementi eguali: lo spazio, il punto, la virgola, le ventidue lettere dell’alfabeto. (683)
M’inganneranno, forse, la vecchiezza e il timore, ma sospetto che la specie umana - l’unica - stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.
Aggiungo: infinita. (688)
Ts’ui Pen mori’; nessuno, nelle vaste terre che erano state sue, trovo’ il labirinto; fu la confusione del romanzo a suggerirmi che il labirinto fosse il romanzo stesso. (697)
A differenza di Newton e Schopenhauer, il suo antenato non credeva in un tempo uniforme, assoluto. Credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che s’accostano, si biforcano, si tagliano o s’ignorano per secoli, comprende tutte le possibilita’. Nella maggior parte di questi tempi noi non esistiamo;... (700-1)
Noi, in un’occhiata percepiamo: tre bicchieri su una tavola. Funes: tutti i tralci, i grappoli e gli acini di una pergola. Sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882, e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevo’ un remo, nel Rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. … Poteva ricostruire tutti i sogni dei tuoi sonni, tutte le immagini dei tuoi dormiveglia. (712)
Allora vidi il volto di quella voce che aveva parlato tutta la notte. Ireneo aveva diciannove anni; era nato nel 1868; mi parve monumentale come il bronzo, ma antico come l’Egitto, anteriore alle profezie e alle piramidi. (715)
Verso l’alba, sogno’ d’essersi rifugiato in una delle navate della biblioteca del Clementinum. Un bibliotecario dagli occhiali neri gli domando’: “Che cerca?”. Hladik rispose: “Cerco Dio”. Il bibliotecario disse: “Dio e’ in una delle lettere d’una delle pagine d’uno dei quattrocentomila volumi del Clementinum. I miei padri e i padri dei miei padri hanno cercato questa lettera; io sono diventato cieco a cercarla”. (743)
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